mercoledì 18 giugno 2008

Emanuele Tenderini

ELENA CAVALIERE per KINART: Introduzione di rito: rivolgiti a chi non ti conosce o conosce solamente il tuo nome ma vorrebbe saperne di più su chi sei e cosa fai.

EMANUELE TENDERINI: Mah…sono un semplice ragazzo di 30 anni, che ha studiato, continua a studiare, e studierà sempre, per diventare un bravo disegnatore. L’inizio del mio percorso professionale si è rivolto in maggior parte alla colorazione digitale di fumetti, ma ho realizzato e sto realizzando anche molte storie come disegnatore. Non mi sento un vero e proprio “fumettista”, diciamo che per ora sto ancora cercando di capire quale sia la mia strada…

Vivo a Venezia, città che adoro e che mi suggerisce forme e colori che non vedo in nessun’altra città.

K: E' vero che non hai sempre avuto un'istruzione "artistica"?

E: Sono diplomato in Ragioneria, ho fatto 1 anno di giurisprudenza, 1 anno in aeronautica e poi ho deciso di dedicarmi all’arte del fumetto. Per cui, è vero, direi che ho avuto un’istruzione “artistica” per un periodo forse anche troppo limitato della mia vita... per il resto sono un autodidatta.

K: Com’è avvenuto il tuo debutto?

E: Alla fine del terzo anno della Scuola del Fumetto di Milano sono tornato a Venezia, e ho passato 1 anno a non fare nulla… cioè a tentare di realizzare dei progetti da presentare a qualche editore, ma senza una vera e propria “coscienza” di ciò che volevo realizzare.

Improvvisamente mi è stata data l’opportunità da un mio ex insegnante di coloragli un fumetto per un editore Francese.

“100 anime” è il mio debutto. Parallelamente ho iniziato a lavorare per una rivista di Milano, come disegnatore, con la quale ho anche disegnato una storia di 54 tavole che non ha mai, ahimè, visto la pubblicazione.


K: A cosa ti ispiri o da cosa sei stato ispirato? Quali sono le tue attuali fonti di ispirazione?

E: Mi sono sempre ispirato alla realtà. Osservo molto “dal vero”, mi piace capire e cogliere i fenomeni che mi circondano, soprattutto per la colorazione. Quando mi servono suggestioni un po’ più “estreme”, che magari non trovo “in natura”, mi affido ai film.

K: Hai avuto difficoltà a proporti solo come colorista? (domanda di Bimbaflash)

E: Assolutamente no, anzi! Proporsi come colorista, al giorno d’oggi, è un vantaggio rispetto agli altri, perché i bravi coloristi si contano veramente sulle dita di una mano, c’è poca concorrenza, e molta molta offerta di lavoro!! Il trucco sta proprio nel proporsi come colorista e, una volta che si è “entrati” nel mercato cominciare a presentare anche i propri lavori da disegnatore!

K: Ti sei proposto alle case editrici o hai cercato personalmente un disegnatore al quale aggregarti? (domanda di Bimbaflash)

E: Fortunatamente non mi sono mai proposto personalmente. Sono sempre stati gli editori a contattarmi. Dico “fortunatamente” perché io, di mio, non sarei in grado di spendere troppo tempo a cercare un lavoro. Mi stanco facilmente e se devo parlare con una persona preferisco non parlare di lavoro, non sono bravo a “convincere” un editore a pubblicare un mio progetto. E questo è un enorme difetto.

Essere bravi a proporsi, contattare gli editori, star dietro alla ricerca di una commissione, convincere l’editore a pubblicare un progetto in cui si crede è la base fondamentale del lavoro di un fumettista.

K: Hai lavorato e lavori tutt'ora molto il Francia. Puoi parlarci di come sei entrato in contatto con questo paese e come ti trovi con gli editori e sceneggiatori francesi?

E: Fino a un paio d’anni fa la Francia era l’ ”El Dorado” per molti autori Italiani. E a ragione! Quello si, che era un vero mercato. Parlo all’imperfetto perché in quest’ultimo paio d’anni anche lì si sta vivendo una piccola “contrazione” dovuta all’eccesso di uscite e alla saturazione del mercato. In ogni modo si riesce a trovare ancora molti lavori veramente profiqui e soprattutto si è trattati con l’ “educazione” dovuta. Già, perché credo che in Francia, a differenza dell’Italia, ci sia più “educazione”, in tutto: nei rapporti con gli editori, nel rapporto tra colleghi, anche nel rapporto con i lettori. Il mercato del fumetto Italiano lo vedo un po’ troppo “presuntuoso”, invece, tutti a non perder tempo a credersi delle star internazionali, editori che ti trattano con toni “sbagliati” (evito di approfondire per non entrare in polemica), e “starlette” che non hanno rispetto per i lettori… Insomma, un “trattarsi male” a vicenda, che non Ci giova affatto.

K: Cosa ne pensi del fatto che in molti iniziano a lavorare proprio in Francia?

E: La trovo una cosa stupenda. Avere un lavoro, ben pagato, e che ti garantisce la possibilità di creare un prodotto di buona qualità, la trovo veramente una cosa meravigliosa. Chi l’ha detto che la gavetta deve essere per forza un “inferno”? Io sono di impostazione meritocratica, ma credo che il “merito” lo si debba anche assecondare, creando una dimensione professionale che possa agevolare l’autore a dimostrare ciò che vale.

Se si è “angosciati” da scadenze improbabili, guadagni nulli, affitti e bollette da pagare, tendenzialmente credo non si riesca a dare il meglio di se. Al contrario lavorare in un mercato che asseconda la tua professione ti invoglia a fare sempre di più perché vedi che la tua vita non ne viene abberrata, e che i tuoi sforzi sono, comunque, ripagati.

E’ vero anche che, l’adrenalina dovuta da ritmi di lavoro “serrati” ti spinge a trovare soluzioni “inconsce” che con la freddezza del ragionamento forse non scopriresti.

La verità, come sempre, sta nel mezzo.

K: Parliamo dei tuoi workshop. Sei soddisfatto di come sono riusciti i corsi e soprattutto di quanto hanno imparato i tuoi allievi?

E: Devo dire che i workshop ho cominciato a organizzarli per puro egoismo. Egoismo derivante dalla necessità di uscire dallo studio e conoscere gente nuova. Affrontare una serie di lezioni con persone che vogliono imparare dal tuo lavoro ti insegna, a sua volta, e ti pone di fronte a problematiche “assopite”. Sono ormai 2 anni che insegno, in molte città italiane, e sono veramente impressionato dalla gioia che ne traggo. Ho conosciuto persone fantastiche e, in media, tutti i miei studenti mi hanno dato profonde soddisfazioni! Molti di loro sono il nucleo costitutivo dello “studio tenderini”, senza i quali non avrei potuto colorare tutto ciò che è stato pubblicato.

Ora, però, credo sia il tempo di chiudere di nuovo le porte dello studio. Ho incamerato molto in questi due anni di workshop, e ho bisogno di metabolizzare ciò che mi è stato dato dagli studenti.

Se continuassi a insegnare, “appiattirei” le nozioni che offro, per una sorta di “abitudine di insegnamento”, nella “fatica” di farlo non sarei più ricettivo nei confronti delle intuizioni che mi vengono offerte dagli allievi e sopratuttto mi perderei, senza assorbirle, quelle che mi sono state date finora.

K: Pensi che cambieresti mai qualcosa nei contenuti e, a questo proposito, ci puoi spiegare come erano articolati?

E: In media, i workshop, duravano 3 giorni. Erano strutturati in maniera molto analitica:

  • primo giorno si parlava di fisica della luce
  • secondo giorno tinte piatte e ombreggiature
  • terzo giorno effetti speciali

Stiamo ovviamente parlando di colorazione digitale. E’ un metodo molto sperimentato che ha dato la possibilità, addirittura, ad un allievo che non aveva mai toccato una tavoletta grafica e sapeva poco di colore, in tre giorni, di diventare uno dei coloristi di punta del Dylan Dog nr. 250, nonché mio unico collaboratore per il Dampyr nr. 100.

Ciò che cambierei ora è che non ho più voglia di parlare di colore. Infatti ultimamente ho tenuto workshop di Anatomia, e di Fumetto “in generale”.

K: Quest’anno aprirà la scuola di fumetto di Venezia e tu sarai docente. Sbaglio o sarà la prima vera scuola di fumetto del Veneto? (A parte quella che si teneva a Mestre..).

E: La scuola, si, è già aperta, da un paio di mesi ormai. Io sarò docente, dal terzo anno in poi. E’ vero, è la prima vera scuola del fumetto a Venezia.

K: Vuoi approfittare per parlarne un po’? Magari è un’occasione per anticipare se hai intenzione di avere un approccio diverso alla scuola di Fumetto rispetto ai tempi dei workshop. Ti occuperai solo di colorazione digitale?

E: La vera punta di diamante della nostra scuola è Roberto Vian. Importantissimo disegnatore Disney. Lui è un vero e proprio maestro del disegno e persona dall’impressionante bagaglio culturale.

La scuola sorge all’interno di un ex-fortino militare, di 30mila ettari, coperto da vegetazione, ruderi, e vecchi carri armati. Un ambiente ideale per creare storie.

Si sviluppa in 3 anni accademici nel corso dei quali si insegnano l’Anatomia, il Disegno e le tecniche di narrazione.

L’iscrizione è a numero chiuso, per un massimo di 20 persone. I ragazzi del primo anno sono veramente bravi, non mi aspettavo una qualità media cosi alta!

Inoltre, nel corso dell’anno organizziamo workshop con grandi maestri del fumetto internazionale. A Giugno avremo ospite niente popo’ di meno che Sergio Toppi! Vogliamo, attraverso questa scuola, crearci una dimensione di lavoro su misura per noi. Dare la possibilità anche ai ragazzi della nostra regione di poter affrontare un percorso didattico di alto livello, per poter diventare dei bravi disegnatori. Abbiamo molte altre iniziative legate alla scuola, ma le scoprirete man mano se seguite l’attività della mia associazione culturale (www.veneziacomix.com).

K: Com'è il tuo "allievo medio"? Chi si affida a te che problematiche maggiori ha? E a fine corso sono in molti quelli che mostrano di aver assimilato bene i tuoi insegnamenti?

E: Il mio “allievo medio” è comunque un appassionato di disegno. Non è il ragazzo che non ne sa nulla, piuttosto è l’amante dei fumetti che ha già iniziato a disegnare, un po’ per conto suo, un po’ attraverso corsi e workshop, che magari vuole affinare o capire meglio le nozioni legate al colore. Infatti non esistono ancora vere e proprie scuole o corsi che spiegano nel dettaglio la tecnica digitale della colorazione. Il colore è sempre un argomento secondario, a volte nemmeno trattato, e invece è di fondamentale importanza perché si integra pienamente con le tecniche di disegno.

K: Com'è nato lo "studio Tenderini" e chi sono i tuoi collaboratori?

E: Lo “studio tenderini” non è un vero e proprio studio. E’ solo un’ “etichetta” che è nata per evitare a Sergio Bonelli di inserire, nel frontespizio di Dylan Dog, tutti i nomi e i cognomi dei miei collaboratori.

Le mie due coloriste storiche, chiamate anche “le Tenderine”, si chiamano Chiara Colabich, e Cristina Toniolo. Sono le due persone di cui mi fido di più, anche perché sanno simulare e rendere alla perfezione il mio stile di colorazione. Se un giorno dovessi perdere entrambe le mani, gli editori non se ne accorgerebbero, proprio grazie a queste due ragazze!

Un altro collaboratore, che è il ragazzo di cui vi dicevo prima, che in tre giorni ha imparato tutto, si chiama Federico Toffano, ed è l’autore con cui ho colorato il nr. 100 di Dampyr!.

Gli altri collaboratori “vanno e vengono”, non sono proprio fissi, ma sono persone che chiamo ogni qualvolta ho dei lavori che so che potrebbero affrontare.

Però, ripeto, non esiste un vero e proprio studio, è una collaborazione “virtuale”, ci scambiamo il materiale via mail, ognuno lavora a casa propria.


K: E' difficile gestirvi il lavoro?
Come vi gestite?
Quali sono i pregi e i difetti di lavorare in tanti?
Ci sono mai intoppi?

E: Non è difficile gestire il lavoro. La colorazione si basa esclusivamente su tre step: tinta piatta, ombre, ed effetti. Per coordinare i co-autori delle mie colorazioni non mi basta altro che affidare ad ognuno di loro una fase specifica che poi io vado a sommare nella tavola definitiva. L’unico gap è il cosiddetto “effetto ad imbuto”, essendo io il solo e ultimo anello della catena di montaggio a volte sono costretto a farmi le nottate per chiudere contemporaneamente tavole di diversi progetti. Ho la mania di “razionalizzare” tutto quanto, è per questo che mi sono creato un metodo che mi permettesse di definire step differenti sommabili l’uno all’altro. Chi ha seguito dei miei workshop lo ha capito.

Non ci sono mai stati intoppi. Mai un ritardo.

K: Disegnatore, colorista, disegnatore. Alterni questi due ruoli per lavorare. La scelta di intraprendere una carriera in entrambe le direzioni (e anche di insegnare nei corsi di colorazione digitale) da cosa è nata? E' stata una necessità?

E: Di necessità virtù. Il lavoro di colorista, all’inizio, mi ha permesso di guadagnare qualcosa, ma soprattutto di farmi un nome ed entrare nei mercati più importanti con molta facilità. Essere disegnatore, però, è la mia priorità, ed è il lavoro che amo di più. E’ per questo che ho deciso, ultimamente, di mettere in pausa il mio lavoro di colorista, per dedicarmi esclusivamente al disegno. Sono scelte comunque guidate per lo più dalla necessità di andare avanti a lavorare, e crearsi una figura professionale solida. Sono “strategie spontanee” che individui man mano, nel tempo, e che ti guidano, a loro volta, nel tuo percorso artistico. Finchè ho avuto necessità di costruirmi un mio spazio lavorativo ho portato avanti la parte del mio lavoro, il colore, che mi dava più garanzie a medio termine, ora che sono un po’ stanco di colorare, e che non ho eccessive difficoltà economiche, posso mettere in stand-by la colorazione e migliorare e muovermi nel disegno.



K: Torniamo ai tuoi lavori. Parlaci di Oeil de Jade, pubblicato a puntate su Skorpyo.
A Lucca mi hai accennato che forse il prossimo anno arriverà in Italia, in volume, intendo.

E: “Oeil de Jade” è il mio primo fumetto da Disegnatore. E’ stato prodotto dagli “umanoidi associati”, per la Francia, e apparteneva ad una collana di gialli storici che si chiamava “Dédales”, dove sono stati pubblicati autori del calibro di Brindisi, Palumbo, Di Vincenzo… è stata un’esperienza fantastica, e pagata bene!, che mi ha dato la possibilità di lavorare con la mia “casa editrice preferita” essendo un grande fan di Moebius, Druillet e Bilal. Sviluppare questo fumetto è stato comunque un lavoro molto duro, ho passato 3 mesi solo a documentarmi perché dovevo rappresentare un periodo storico abbastanza complesso, la Cina del 1200. Abiti, Architetture, fisionomie orientali, tutti elementi di cui non conoscevo assolutamente nulla e che, per fortuna, hanno coinciso con l’uscita al cinema, in Italia, di ben due film che mi hanno “salvato le chiappe”: “Hero” e “La foresta dei pugnali volanti”…se non fosse stato per questi due film, che mi hanno dato una guida logica per affrontare la ricerca della documentazione per un ambiente cosi complesso, non sarei riuscito a trovare materiale con molta facilità.

E’ successo, tra le altre cose, che a metà del lavoro mi si è fuso il computer. I 20 gb di immagini che mi ero scaricato e archiviato si sono volatilizzate in pochi secondi, e ho perso, quindi, un altro mese a recuperare l’archivio che avevo creato.

In ogni caso questo progetto mi ha permesso di collaborare con uno sceneggiatore fantastico, Patrick Weber, che è anche lo sceneggiatore della trasposizione a fumetti del film “Arthur” di Luc Besson. Con Patrick ora stiamo affrontando un nuovo progetto storico per un’altra casa editrice, questa volta ambientato tra Francia e Inghilterra nell’anno 1000.

Le ricostruzioni storiche rappresentano i progetti più difficili da realizzare, perché, appunto, devi raccogliere molta documentazione, ma sono anche quelli che mi danno più soddisfazione.

Con “Oeil de Jade” poi, ho imparato ad amare l’oriente, e ho nel cassetto un altro paio di progetti dalla medesima ambientazione, ho ancora molto da raccontare riguardo la Cina…!


K: Altri tuoi lavori. 100 Anime, thriller/horror con elementi soprannaturali ambientato a Milano. Dylan Dog, horror e pietra miliare della storia fumettistica italiana, con tutti i suoi "canoni" del caso. Wondercity, "comic book" con vicende narrate in una città immaginaria dalle architetture peculiari e con una tecnologia avanzatissima considerando lo scenario degli anni '30 in cui sono "ambientate" le vicende.
Tre titoli tutti diversi, tre stili di disegno differenti. Tematiche forse più vicine, ma comunque tutte diverse. Come ti sei regolato per le colorazioni di questi 3 titoli? Quali sono state le differenze più grosse nella scelta dei colori o delle atmosfere da dare?

E: Non ho avuto grosse difficoltà. Il mio metodo di colorazione è abbastanza analitico, ho consapevolezza di quelle che sono le fasi che più di altre mi aiutano a interagire con il disegno. In questo caso sto parlando delle ombre. Lo sviluppo delle ombreggiature è l’ “anello di congiunzione” tra il disegno e la colorazione. Se devo colorare un disegno realistico sviluppo ombreggiature più precise e “anatomiche”, se devo colorare un disegno umoristico, le ombreggiature saranno semplificate. La cosa importante, in ogni caso, è non fare le cose a vanvera, ma studiare e visualizzare bene i risultati che si vogliono ottenere. Io, poi, non ho una palette fissa di colori. So come funziona la Luce, la teoria fisica del colore, so che tutto scaturisce dalla lunghezza d’onda della fonte luminosa, per cui non mi pongo nemmeno il pensiero di quale sarà l’atmosfera più adatta o l’ intensità del colore più giusta… è una cosa che scaturisce da sola, automaticamente, seguendo i passaggi “teorici” che contraddistinguono pratica cromatica. Le differenze sostanziali, ripeto, sta nella semplificazione o meno delle ombreggiature, che essendo comunque delle “forme” aiutano l’occhio del lettore a interagire con lo stile di disegno applicato.

Un disegnatore si può definire tale e professionale se sa rendere bene le volumetrie con il proprio segno. Da questa resa volumetrica del segno io “prolungo” il discorso applicando delle ombre conformate su misura, e devo dire che sia Buscaglia, che Brindisi, che Turconi sono dei maestri della resa volumetrica del disegno.

K: Sfogliando il numero speciale “DYLAN DOG COLOR FEST” si possono vedere diversi disegnatori cimentarsi con il nostro “indagatore dell’incubo di quartiere”.
All’interno c’è scritto che le colorazioni sono state fatte dallo Studio Tenderini (salvo la storia di Carnevale, ovviamente).
Puoi raccontarci qualcosa in più sul retroscena del numero?

Ci sono state limitazioni da parte dell’editore/disegnatore?
Il cambio di disegnatore influisce sullo stile di colorazione? se sì, quanto e con che approccio vi siete mossi…? (Domande di Faureiana)

E: Non si sono molti retroscena “curiosi” attorno allo sviluppo della colorazione del Color Fest, essenzialmente perché la scadenza “angosciatamente” breve non mi ha permesso di fermarmi a metabolizzare la situazione o a notare, o ricordarmi, situazioni particolari. Il retroscena sta nel fatto che avevamo un paio di mesi, o poco più, per sviluppare 3 storie su 4, significa appunto 96 tavole, il che è abbastanza allucinante per lo stile che si aspettavano da me.

In realtà da parte dell’editore ci sono molte limitazioni. In effetti lì in redazione si devono ancora abituare ad un certo tipo di lavorazione cromatica, ed è giusto che sia cosi, per cui non mi sono sentito libero di sviluppare le colorazioni secondo il mio gusto (cosa invece che è stata concessa a Carnevale).

Fortunatamente l’” intermediazione” dei disegnatori, veri e propri maestri e quindi con la possibilità di mettere l’ultima parola sul lavoro, mi ha permesso, a volte, di spingermi un po’ oltre ai limiti imposti.

Per quanto riguarda il cambio di stile, ne ho parlato nella domanda precedente! :)

Ah, ora mi è venuto in mente un piccolo retroscena che forse può incuriosirvi: Sotto ogni condizione di luce, che sia giorno o notte, Dylan Dog DEVE avere sempre la camicia rossa, e non ci devono essere ombre su di essa! Ma deve essere il più piatta possibile. Questo è proprio uno di quei limiti imposti dall’editore, che ha anche una sua logica, ma che influisce non poco sulla colorazione…

K: Com'è stata la tua esperienza con la Panini su Vasco Comics?

E: Gradevole. E veloce. Sempre per un discorso di Scadenze. Non ho mai il tempo di metabolizzare un rapporto di lavoro. Quando mi arriva la commissione siamo già in ritardo, e quando la termino ne ho talmente le balle piene che sparisco dalla circolazione.

Sono contentissimo di aver lavorato con Donald Soffritti, lo conoscevo dal suo blog, e conoscerlo anche nella collaborazione professionale mi ha veramente riempito di gioia, è un disegnatore fantastico, umile, e velocissimo!

Alfio lo conoscevo da 100 anime, ovviamente, con lui siamo andati avanti ad “occhi chiusi”. Rosenzweig è un mio caro amico, abbiamo avuto uno scontro abbastanza duro sulle colorazioni, proprio per via del “nervosismo” da consegna, ma questo ha messo un po’ di “pepe” nel nostro rapporto! :)

Ricordo con molto piacere il giorno in cui ci siamo ritrovati tutti in Panini per il “brain-storming” sul progetto. Non so se siete mai rimasti chiusi in una stanza con Maurizio, Alfio e Enrico Brizzi tutti assieme… è un’esperienza sconvolgente… Abbiamo anche fatto un paio di belle figure di merda, perché negli uffici accanto stavano lavorando e sono venuti a farci il cazziatone perché facevamo troppo casino… fantastico… nemmeno quando avevo 5 anni ricevevo cazziatoni simili!

K: Avendo lavorato a una vasta gamma di pubblicazioni, diverse per stile e genere, a quale tipo ti piace maggiormente dedicarti? (Domanda di Spaisel)

E: Diciamo che lo stile “fanta-horror” è quello forse che mi da più possibilità di sperimentare tecniche e soluzioni “estreme”. Le luci dei film horror, i tagli di ombra, l’angoscia, l’atmosfera di quel genere mi danno i pretesti per potermi divertire molto. Peccato che in Dylan Dog non si possa fare ancora questo tipo di discorso “ambientale-cromatico”, ma di certo 100 anime a tutt’oggi resta ancora il progetto su cui ho lavorato di più e ho sperimentato maggiormente.


K: In questo periodo a cosa stai lavorando? Puoi anticiparci qualcosa?

E: In questo periodo sto preparando dei progetti editoriali da presentare a vari editori. Progetti, in realtà, relativamente piccoli, semplici, più che altro incentrati su temi sociali di particolare importanza.

Poi sto preparando gli studi per un fumetto “fanta-wuxia”, che sto realizzando a 4 mani con Stefano Ascari uno dei migliori scrittori italiani che abbia mai conosciuto, non tanto per la capacità tecnica di affrontare le sceneggiature, quanto per gli spunti creativi dei suoi soggetti.

In ogni caso, la cosa che cerco di realizzare maggiormente in questo periodo è riposarmi un po’. Sono anni che continuo a lavorare incessantemente, avrei proprio bisogno di una vacanza, giusto per staccare un attimo, metabolizzare razionalmente il lavoro fatto finora e ripartire a costruire un altro pezzo di percorso professionale.

K: Raccontaci uno dei tuoi lavori che porti nel cuore e perché. (Domanda di TheJasco)

E: Sicuramente il lavoro che porto più nel cuore resta “100 anime”. Come ho già spiegato è il fumetto su cui ho potuto sbizzarrirmi maggiormente, in termini cromatici. E poi è stata un’avventura che abbiamo affrontato io e gli altri due autori, quasi “alla pari”, tutti e tre, infatti, ci approcciavamo per la prima volta al grande mercato francese, ci siamo buttati alla “cieca” su di un mondo che non avevamo mai propriamente vissuto. Ci siamo divertiti molto, è stata una delle poche volte che ho affrontato un lavoro solo dal punto di vista del divertimento di farlo e non oppresso dall’ottica delle scadenze o dei compensi.


Un po’ di domande sul tuo lavoro in senso tecnico:

K: Hai mai colorato anche tradizionalmente? Se sì, quali sono le maggiori difficoltà nel trattare i colori fra strumenti tanto diversi, come il computer e la tecnica tradizionale? (Domanda di Bimbaflash)

E: Ho imparato a disegnare e a colorare attraverso le tecniche tradizionali. All’inizio preferivo le tecnice trasparenti, come l’ecoline, poi mi sono rivolto alle tecniche coprenti, la mia preferita resta ancora la tempera. Attraverso la colorazione al computer ho raffinato le nozioni della tecnica manuale, perché il computer ti abitua di più al metodo e, potendo correggere in ogni istante, ti aiuta a crescere più velocemente perché, se sbagli, non devi ricominciare tutto da capo.

Ovviamente le tecniche manuali sono un po’ più difficili, proprio per la maggior possibilità di commettere errori, ma comunque il “nocciolo scientifico” della colorazione non sta tanto nella “manualità”, quanto nell’elaborazione mentale. In ogni caso la tecnica manuale ti offre molte più possibilità rispetto quella digitale.

K: Puoi rivelarci qualcosa sui tuoi procedimenti lavorativi?

E: La mia tecnica di colorazione si basa su:

  • profonda documentazione iconografica. Scarico centinaia di fotografie, o film, da cui posso trarre delle informazioni cromatiche sulle atmosfere che voglio realizzare.
  • Studio analitico e preciso delle ombreggiature. È indispensabile avere sempre coscienza della direzione da cui proviene la luce.
  • Elaborazione del metodo: crearmi degli step di sviluppo della colorazione in modo da avere un metodo che posso utilizzare in ogni caso, su ogni stile, in modo da non dover “improvvisare” nulla e avere sempre il controllo della situazione. Ovviamente questo non preclude la sperimentazione, perché è proprio su una base razionale e chiara che ci si può spingere a costruire “sovra-strutture cromatiche” per capire altri eventuali percorsi, senza il rischio di combinare danni sulle tavole dei disegnatori..!

K: Quali programmi ti servi per la colorazione delle tavole? solo uno o più? (Domanda di Mewvale)

E: Mi affido solamente a Photoshop 06. Non l’ho nemmeno mai aggiornato, e non utilizzo altri programmi. La colorazione è solo una parte del mio lavoro creativo, non mi interessa approfondire la conoscenza di strumenti sempre più ampi e complessi, quando in realtà il lavoro non dipende da quale software viene utilizzato, ma da CHI lo utilizza. Photoshop 06 ha tutto quello che mi serve, e anzi, meglio limitarmi nelle possibilità informatiche per non cadere in soluzioni kitsch o banali che derivano dall’utilizzo di texture o strumenti troppo sofisticati, ma freddi, gelidi, informatizzati.

K: Vorrei chiedere al bravo Emanuele che tipo di hardware utilizza nel suo lavoro, in particolare il tipo di stampante.
Di certo farai delle prove colore utili a rendersi conto se stai andando nella "direzione giusta".
Quale stampante riesce a riprodurre in modo più fedele possibile i colori del monitor? E' un fatto solo di calibrazione o anche di hardware? (Domanda di Luigi.g.75)

E: Non ho mai stampato una mia tavola per verificarne i colori…Già mi pagano poco, se dovessi sprecare carta a fare prove allora…! ;) Per andare sul sicuro ci sono 2 metodi:

  • la calibrazione del monitor, basta utilizare l’Adobe Gamma Loader, un piccolo programmino incluso in photoshop che vi permette di calibrare il monitor al meglio.
  • Seguire le indicazioni tipografiche delle editore: quando si inizia un lavoro, solitamente, l’editore, soprattutto quelli francesi, vi spediscono a casa un paio di fogli in cui sono inserite le caratteristiche tipografiche della loro stampa e le percentuali di colore da seguire per stampare i propri lavori al meglio. Delcourt, per esempio, dice di non superare la somma dei 3 primari e del nero oltre il 320%! Significa che se voi utilizzate un colore simile: C:100%, M:100%, Y:100% il K non può superare il 20%. Già questo vi basta per andare sul sicuro. Soleil invece, che è un altro editore francese, vi indica le curve di generazione del nero da impostare in photoshop per uniformarvi al loro profilo.
K: Come riesci ad individuare la tavolozza dei colori che dovrai utilizzare per creare l'atmosfera giusta? (Domanda di Manson/Bimbaflash)

E: Non ho una tavolozza di colori. L’atmosfera risulta da una somma di procedimenti mentali relativi alla luce che scaturisce da una fonte luminosa, in relazione alle lunghezze d’onda che caratterizzano un determinato ambiente. Non uso mai, addirittura nella stessa tavola, sempre lo stesso giallo, o sempre lo stesso rosso. I colori li scelgo in base ad una valutazione “emozionale” legata allo studio della luce secondo le tre proprietà del colore: Tono, Tinta e Croma.

K: Come riesci a trovare il colore dell'ombra della pelle più congeniale al colore base? (Domanda di Inuyasha80)

E: Dipende dalla fonte di luce. Dipende tutto dalla fonte di luce. Il colore non esiste, è una radiazione luminosa che colpisce un oggetto, vi rimbalza, e interagisce con la nostra retina. Se io vengo illuminato da un faro di 1000 KW di luce di colore verde, sia la mia pelle che le ombre della mia pelle appariranno verdi, e non per questo sono un alieno. Abituatevi a trascendere il concetto di “colore proprio di un oggetto” e cominciate, invece, la vostra analisi sul colore dalla fonte di luce!

K: L'impatto emotivo di un colore per te è fisso?
Mi spiego, rosso/amore - celeste/tranquillità - nero/lutto? (Domanda di Jeff Hawke)

E: No, ma l’interazione tra il colore e le volumetrie si. Per me l’emozione viene comunicata sempre da una dominante di colore attribuita ad un modo più o meno drastico di gestire i tagli di luce e ombra. L’emozione viene comunicata, a mio avviso, dai contrasti. Una tavola azzurra, prima di forti contrasti tra luce e ombra, può risultare “serena”, “riposante”, la stessa tavola con forti tagli netti di ombra è contrasti accentuati con la luce può essere “horror” tanto quanto la stessa tavola in verde. Ripeto, non è una questione di colore, è una questione di fonte di luce. (il ragionamento che dovete sempre fare all’inizio è: “da cosa è illuminata questa scena?” – “il sole?”, “un neon?”, “uno spotlight da concerto?”…da questo ragionamento ne deriva la documentazione che vi serve per capire come funzionano i colori in relazione alla fonte di luce che avete scelto, e l’emozione che ne scaturirà!)


K: Essendo il fumetto un medium che sfrutta molto gli stereotipi, attribuisci ai colori significati fissi? Se invece vuoi inventare una nuova associazione tra colore e il suo significato, come scegli il colore e come lo "risemantizzi"? (Domanda di Jeff Hawke)

E: “Scolpendolo” con i contrasti tra la luce e l’ombra. Più forti sono i contrasti più la scena è “drammatica”, meno forti sono, più “tenue” è l’impatto emotivo. C’è una forte proporzione, visibile ad occhio nudo, tra la dominante di colore che scegliete e l’ “ingombro” dei tagli di luce.

K: Quanto tempo impieghi in media per ogni parte della colorazione?

All'incirca, qual' è il tempo necessario per la colorazione di un'intera tavola, o di una illustrazione/cover? (Domanda di Inuyasha80, aggiunta di Mewvale)

E: Non sono in grado di dirti quanto mi ci vuole per colorare una tavola. Sono passato da colorare tavole in 2 ore a colorare tavole in una settimana… :) , dipende essenzialmente dal livello di lavorazione che voglio ottenere. Le tavole di 100 anime ci mettevo 3-4 giorni a colorarle, quelle del Vasco comics ero obbligato a colorarle più velocemente, per via della scadenza. In ogni modo le tinte piatte sono la fase più veloce e automatizzata, la parte delle ombreggiature dipende, se faccio 1 sola velatura di ombreggiatura, o se scavo maggiormente i volumi, la parte degli effetti è quella più “lenta” perché va più a “gusto personale”, quindi non c’è un vero e proprio metodo, per gli effetti.

collaborazione con Giuseppe Palumbo

K: Alla luce di alcune caratteristiche peculiari ravvisabili in tutti i tuoi lavori, una "direzione della fotografia" legata a un uso intenso dei colori e a contrasti forti (es. effetto bagliore molto presente, ecc.), si può parlare di uno "Stile Tenderini"? (Domanda di Spaisel)

E: Ne ho sentito parlare in giro, dello “stile tenderini”… tecnicamente si, se ne potrebbe parlare… in fin dei conti colorare è come disegnare, ognuno ha il suo stile, e se funziona può venire acquisito da altri.

K: Quale è la cosa che ritieni più difficile nel tuo lavoro? (Domanda di Inuyasha80)

E: Stare davanti al computer per molte ore e interagire con committenti che credono di sapere tutto di colore, ma non ne sanno nulla, e ti vogliono imporre delle soluzioni imbarazzanti.

K: Ti sei mai trovato in difficoltà nel creare qualcosa?

E: Si, sempre e quando succede mi affido alla “razionalizzazione di un metodo”. Il metodo, in generale, ci salva in ogni caso. Quando non sapete come affrontare un problema, riformulatevelo seguendo gli “step classici” di composizione di un disegno o di una colorazione, sviluppate ogni step, con pazienza, e vedrete che avrete risolto, come somma di nozioni, il vostro inghippo!

K: C'è un tema che non hai mai avuto occasione di trattare ma sul quale ti piacerebbe creare qualcosa?

E: Forse l’erotismo. Credo che questo genere possa ancora dare molte opportunità creative, anche in termini di colore. Prima o poi mi sa che mi cimenterò. Trovo anche che, alla fin fine, sia la tematica più “onesta” che possa esistere, oltre che quella più intima.


Omaggio a Milo Manara

K: In cosa ti senti ancora "immaturo"? Tutti noi non smettiamo mai di imparare, e quindi cosa senti che ancora ti manca?

E: Mi manca ancora tutto, di ciò che vorrei ottenere, sia in termini tecnici che creativi. Sto vivendo un periodo di profonda crisi caratterizzato, un po’, dall’omologazione del mio lavoro, causata dalla necessità economica di sopravvivere. La pausa che vorrei prendermi mi servirebbe proprio per capire in che direzione andare, perché mi sento veramente spoglio di una solida certezza di percorso, di cui avrei bisogno.

Conclusione

K: Su Kinart passano molti giovani che vogliono intraprendere lo stesso percorso che hai fatto anche tu, che magari sono già iscritti ad una delle scuole di fumetto, o pensano di farlo a breve.
Cos'hai da dire ai ragazzi che si stanno incamminando su una strada per la quale sei già passato? che consigli hai da dare? cosa ti ha insegnato la tua esperienza passata e presente?

E: Quando studiavo alla scuola del fumetto, ho passato 3 anni in una stanza da 8 metri quadrati, a studiare continuamente, anatomia, colore, disegno, dalle 08 della mattina alle 2-3 di notte. Si, forse esageravo, all’epoca, ma il consiglio che posso dare a tutti i ragazzi che vogliono intraprendere questa professione è di studiare e sacrificare il più possibile. Non prendete le cose sotto-gamba, non sottovalutate l’impegno e l’esercizio costante, non prendetevi in giro. Se decidete di diventare dei fumettisti fatelo al massimo del vostro impegno.

5 commenti:

Unknown ha detto...

ok, ora ti conosco ancora meglio...


...e ho imparato che l'aspetto più soprannaturale di Dyd è la sua camicia sempre-rossa!

Elena Cavaliere ha detto...

Se avete dei problemi di visualizzazione delle immagini, me ne scuso, sistemerò appena riavrò la connessione a casa :3

C'è anche un'immagine che pensavo di aver ridimensionato ma in realtà sfora.

Ne approfitto per ringraziare Tenderini per le immagini.
Ulteriori altri lavori li potete trovare nella sua gallery -> http://www.tenderini.com/index.php?option=com_easygallery&Itemid=31

Elena

Unknown ha detto...

emanuele è veramente mitico! Un colorista da urlo, una persona gentile, disponibile e che non se la tira mai, e poi signorine... guardate che pettorali c'ha quest'uomo! (questa la capisce solo lui...)

Unknown ha detto...

Ottima intervista, per me piu' che interessante.

Anonimo ha detto...

Splendida intervista, risposte interessantissime